Creative Commons e il Capitolo italiano di CC esprimono la propria posizione sul Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND)

Photo: Digital Economy, by Sun Zom, PDM, Flickr

 

Qualche settimana fa il Ministero dei Beni Culturali ha pubblicato il Piano Nazionale di Digitalizzazione del Patrimonio Culturale 2022-2023 e le relative Linee guida per l’acquisizione, la condivisione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale.

Sebbene il Piano rappresenti un passo importante verso la trasformazione digitale delle istituzioni culturali, rischia tuttavia di limitare, anziché aumentare, l’accesso e l’utilizzo del patrimonio culturale, con gravi effetti negativi sul dominio pubblico, sulla partecipazione dei creatori alla creatività generativa e sulla società civile nel suo complesso.

Insieme a Creative Commons, abbiamo preparato un comunicato per affrontare i punti cruciali del Piano che destano maggiori perplessità, ovvero:

  • La portata del pubblico dominio viene indebitamente ridotta dall’applicazione del Codice dei beni culturali, che limita ingiustificatamente le opportunità di riutilizzo e di creatività a discapito dell’interesse pubblico. Al contrario, il pubblico dominio deve essere protetto, perché consente un accesso essenziale alla conoscenza e alla cultura e favorisce la creatività.
  • La creazione di uno strumento su misura (“Standard MIC”) è sconsigliabile. Gli strumenti CC sono lo standard consolidato utilizzato dalle istituzioni culturali di tutto il mondo e sono importanti strumenti legali e di comunicazione tra queste ultime e i loro utenti. Le licenze e gli strumenti CC presentano molti vantaggi rispetto ai contratti personalizzati o ad altri standard su misura.
  • I rischi di compromettere la creatività e l’accesso alla cultura non sono compensati dalle poche opportunità di guadagno derivanti dalle tariffe stabilite attraverso l’applicazione del Codice dei beni culturali.

Cogliamo l’occasione per riaffermare il nostro impegno a favore di una migliore condivisione del patrimonio culturale e ci auguriamo di continuare a sostenere le istituzioni culturali nell’adempimento della propria missione di interesse pubblico nel fornire l’accesso alle proprie collezioni nel modo più aperto possibile, in loco e online.

Nota: questa dichiarazione è stata preparata da Deborah De Angelis, Chapter Lead, CC Italia, Brigitte Vézina, Director of Policy and Open Culture, Creative Commons, e Laura Sinigaglia, Contributor, CC Italia.

Di seguito il comunicato completo:

Consultazione sul Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale 2022-2023 – Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale

Comunicato di Creative Commons e del Capitolo italiano di Creative Commons

4 luglio 2022

Il presente comunicato viene presentato in occasione del processo di consultazione pubblica sul Piano Nazionale di Digitalizzazione del Patrimonio Culturale (2022-2023) (di seguito “il Piano”) e riassume l’attuale posizione di Creative Commons (CC) e Creative Commons Italia sul Piano elaborato dall’Istituto Centrale per la Digitalizzazione del Patrimonio Culturale (Digital Library) del Ministero dei Beni Culturali. CC e CC Italia (di seguito collettivamente denominati “CC”) accolgono con favore l’opportunità di condividere la presente dichiarazione nel quadro della predetta importante consultazione. La presente dichiarazione fa riferimento in parte ad altre risorse di CC.

Introduzione

Creative Commons è un’organizzazione no-profit che opera con l’intento di superare gli ostacoli legali alla condivisione della conoscenza e della creatività per affrontare le sfide più urgenti del mondo attuale. La missione di CC è quella di dare potere agli individui e alle comunità di tutto il mondo fornendo loro soluzioni tecniche, educative, legali e politiche per consentire una migliore condivisione della conoscenza e della cultura nell’interesse pubblico. Per adempiere alla propria missione, CC offre sei licenze di diritto d’autore e due strumenti di pubblico dominio gratuiti e facili da usare, che semplificano e standardizzano il modo in cui le opere creative vengono condivise.

Nell’ambito dell’Open Culture Program, CC si adopera per garantire che gli interessi, le preoccupazioni e le esigenze del pubblico e delle istituzioni culturali nell’adempimento della propria missione di interesse pubblico siano bilanciati con quelli dei titolari dei diritti in modo equo. CC aiuta inoltre le istituzioni culturali a sfruttare al meglio le licenze e gli strumenti CC per comunicare ciò che gli utenti possono fare con il materiale digitalizzato a livello globale e transfrontaliero.

Il Capitolo Italiano di Creative Commons lavora da anni nel campo del diritto d’autore in relazione alle politiche di Open Access con una rete di associazioni nazionali e internazionali che mirano a migliorare l’equilibrio tra i titolari dei diritti d’autore e gli utenti e la società civile in generale.

Commento sulla procedura

Dal punto di vista procedurale e metodologico, accogliamo con favore la decisione del Ministero della Cultura di indire una consultazione pubblica sulla bozza del Piano, consentendo a tutti i soggetti interessati di esprimersi sui suoi contenuti. A questo proposito, auspichiamo che il Ministero garantisca la partecipazione delle associazioni di settore anche alle eventuali fasi successive del Piano e che, più in generale, adotti questa metodologia anche in futuro su temi che hanno un impatto significativo sul settore dei beni culturali.

Commenti sostanziali

Dal punto di vista sostanziale, l’approccio strategico del Piano, che sposa esplicitamente i principi dell’Open Access e dei FAIR DATA, compiendo un’ampia ricognizione sullo stato attuale delle riproduzioni digitali ed individuando meticolosamente la segmentazione delle diverse fonti di acquisizione delle riproduzioni digitali e delle tipologie di riuso delle stesse, è un passo importante verso la trasformazione digitale delle istituzioni culturali. La digitalizzazione del patrimonio culturale è fondamentale per la crescita culturale del Paese, e le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), avviato a seguito della pandemia da Covid-19, rappresentano un’opportunità da non perdere in vista di una reale trasformazione digitale del settore dei beni culturali, oltre che per le implicazioni nel riuso del patrimonio culturale in ambito educativo.

​​Tuttavia, riteniamo che il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale avrà come risultato quello di limitare, anziché aumentare, l’accesso e l’utilizzo del patrimonio culturale. Il predetto Piano, infatti, limita in modo proibitivo il diritto fondamentale delle persone ad accedere alla cultura e alla libertà di espressione artistica. Nella sua versione attuale, infatti, il Piano avrebbe un grave impatto negativo sulle possibilità dei creatori di partecipare a processi di creatività generativa e sulla società nel suo complesso. Inoltre, il Piano non tiene conto della natura globale dell’accesso al patrimonio culturale come bene pubblico. Nello specifico, i punti principali sono i seguenti:

1. Il pubblico dominio deve essere protetto perché consente un accesso essenziale alla conoscenza e alla cultura e promuove la creatività.

2. La portata del pubblico dominio viene indebitamente ridotta dall’applicazione del codice dei beni culturali, che limita ingiustificatamente le opportunità di riutilizzo e di creatività a discapito dell’interesse pubblico.

3. Gli strumenti CC sono lo standard consolidato utilizzato dalle istituzioni culturali di tutto il mondo e sono importanti strumenti legali e di comunicazione tra queste ultime e i loro utenti.

4. Le licenze e gli strumenti CC presentano molti vantaggi rispetto ai contratti personalizzati o ad altri standard creati ad hoc.

5. I rischi di compromettere la creatività e l’accesso alla cultura non sono compensati dalle poche opportunità di guadagno derivanti dalle tariffe previste dal codice dei beni culturali.

Nelle sezioni seguenti forniremo maggiori dettagli su ciascuno dei predetti punti.

1. Il pubblico dominio deve essere protetto perché consente il fondamentale accesso alla conoscenza e alla cultura e favorisce la creatività.

I materiali in pubblico dominio costituiscono spesso una parte significativa delle collezioni delle istituzioni culturali. Molte di queste, infatti, lavorano duramente per digitalizzare e rendere disponibile al pubblico il patrimonio in pubblico dominio, nel tentativo di preservarlo e condividerlo in modalità aperta. Questo è un aspetto fondamentale dei compiti e della missione di interesse pubblico svolta dalle istituzioni culturali. La condivisione aperta del patrimonio culturale in pubblico dominio può dare vita ad una creatività illimitata e consentire usi generativi che portano al progresso della conoscenza. Il patrimonio in pubblico dominio deve poter essere utilizzato per qualsiasi scopo, gratuitamente, senza ulteriori autorizzazioni inerenti il diritto d’autore.

Per preservare l’integrità del pubblico dominio, le riproduzioni digitali di opere in pubblico dominio devono rimanere in pubblico dominio. Nessun ulteriore diritto deve essere attribuito al materiale in pubblico dominio dopo la sua digitalizzazione. L’articolo 14 della Direttiva UE 2019 sul diritto d’autore nel mercato unico digitale sancisce un principio fondamentale: ciò che è in pubblico dominio deve restare in pubblico dominio. Qualsiasi norma contraria sarebbe in contrasto con i principi sanciti dalla norma europea.

2. La portata del pubblico dominio viene indebitamente ridotta dall’applicazione del Codice dei beni culturali, che limita ingiustificatamente le opportunità di riutilizzo e di creatività a discapito dell’interesse pubblico.

L’interrelazione tra il diritto d’autore e le leggi sui beni culturali (le cui ampie definizioni spesso includono una serie di materiali protetti dal diritto d’autore) deve garantire che tutti possano godere del diritto universale e fondamentale di accesso alla cultura ovunque nel mondo. Purtroppo, il Piano proposto, attraverso un’interpretazione massimalista del Codice dei beni culturali, che impone una restrizione all’uso commerciale del patrimonio in pubblico dominio, mette a dura prova il pubblico dominio stesso, ponendosi in contrasto con lo spirito del legislatore europeo.

La proposta di uno “Standard MIC” autonomo per le istituzioni culturali da utilizzare sulle collezioni di patrimonio in pubblico dominio limita il riutilizzo ai soli usi non commerciali, facendo leva sul Codice dei beni culturali (e non sul diritto d’autore). Ciò è fondamentalmente in contrasto con i principi e le pratiche dell’Open Access e solleva importanti problemi di sovrapposizione dei diritti sul patrimonio dell’umanità, che appartiene appunto alla collettività. L’utilizzo di uno standard simile alle licenze di diritto d’autore per limitare l’uso del patrimonio culturale a scopi non commerciali sulla base di una norma esterna alla legge sul diritto d’autore costituisce un’indebita limitazione degli usi liberi e illimitati dei materiali in pubblico dominio, crea ulteriori limitazioni al pubblico dominio ed ostacola le possibilità di riutilizzo a scapito della collettività.

Inoltre, lo “Standard MIC” rischia di bloccare le collezioni dietro barriere economiche e di creare confusione tra gli utenti e i riutilizzatori di tutto il mondo. Ciò avrà un impatto negativo sulla creatività, sull’innovazione e sulla fornitura di beni pubblici e limiterà fortemente il diritto della collettività ad accedere al patrimonio culturale e a riutilizzarlo oltre confine, comportando una perdita significativa per la società, in considerazione del ruolo del pubblico dominio come riserva del patrimonio culturale: un tesoro creativo da cui dipende la creatività contemporanea.

Per quanto riguarda la possibilità di riutilizzare a fini commerciali le immagini del patrimonio culturale in pubblico dominio, il Piano non tiene conto delle molteplici tipologie di utilizzo commerciale e del loro diverso impatto sulle attività delle istituzioni culturali e sulla società italiana nel suo complesso. In questo senso, vorremmo che il Ministero chiarisse che i cosiddetti usi commerciali non rivali non sono soggetti ad autorizzazione e al pagamento del canone. È infatti necessario distinguere il riuso derivante dai progetti Open Access da altre forme di usi commerciali rivali come, ad esempio, la vendita diretta di immagini che riproducono il patrimonio culturale. Ad esempio, le immagini di beni culturali in pubblico dominio rilasciate con strumenti Creative Commons compatibili con l’Open Access, come la licenza CC BY-SA (Attribuzione/Condividi allo stesso modo), non generano alcun tipo di esclusività: il contenuto rimane a disposizione della comunità per l’uso e il riutilizzo con pochissime restrizioni. Un altro esempio riguarda le riproduzioni fedeli di beni culturali in pubblico dominio etichettate con il Public Domain Mark (PDM) o rilasciate con CC0, due strumenti adatti alla condivisione in pubblico dominio secondo i principi dell’Open Access. Per essere chiari, gli usi consentiti attraverso tali licenze o strumenti non sono in contrasto con lo sfruttamento economico delle immagini da parte delle istituzioni stesse, non impattano negativamente sul mercato dello sfruttamento commerciale del patrimonio culturale e, al contrario, hanno un effetto positivo sulla collettività, incoraggiando le imprese creative a reinventare il loro stesso patrimonio.

Il Piano dovrebbe essere anche l’occasione per riaffermare quanto già praticato e previsto dal Codice dei beni culturali e dalla legislazione secondaria. Gli articoli 107 e 108 del predetto Codice, nella loro versione attuale, non contraddicono l’adozione di licenze aperte, assimilabili a provvedimenti autorizzativi con azzeramento del canone per l’eventuale successivo riutilizzo commerciale. In primo luogo, l’azzeramento del canone è già presente in numerosi regolamenti ministeriali come facoltà discrezionale dell’ente che ha in custodia il bene culturale (art. 108). In secondo luogo, l’abolizione del canone (in sostanza l’uso gratuito) per la pubblicazione delle riproduzioni del patrimonio culturale in tutti i prodotti editoriali previsti dalle presenti linee guida dimostra già di per sé la compatibilità della normativa vigente con l’ipotesi di azzeramento del canone per usi commerciali, in quanto i prodotti editoriali distribuiti nei canali commerciali sono prodotti commerciali nella misura in cui generano ricavi per l’editore. Di conseguenza, si chiede che le licenze Open Access siano introdotte nelle linee guida conformemente ai principi in esse affermati. Le stesse, infatti, dedicano ampi paragrafi all’argomento senza però fornire strumenti operativi che incarnino correttamente tali principi. In altre parole, le uniche soluzioni operative proposte (l’etichetta “Standard MIC”) tradiscono e travisano completamente lo scopo dell’Open Access.

3. Gli strumenti CC sono lo standard consolidato utilizzato dalle istituzioni culturali di tutto il mondo e sono importanti strumenti legali e di comunicazione tra queste ultime e i loro utenti.

Creative Commons è un’attenta custode delle licenze e degli strumenti CC da oltre 20 anni. Si tratta di strumenti standardizzati, gratuiti e facili da usare che consentono la condivisione di contenuti creativi in tutto il mondo. Le licenze e gli strumenti CC sono il mezzo più semplice e facile per comunicare al pubblico quali usi possono essere fatti dei contenuti e per facilitare un’ampia diffusione della cultura. Le licenze e gli strumenti CC sono diventati lo standard per le istituzioni culturali che decidono di “aprire” le proprie collezioni su Internet, aiutando a superare alcune delle sfide poste dalla legge sul diritto d’autore e consentendone un ampio riutilizzo (vedi lo studio sull’Open GLAM).

Nell’ambito del proprio ruolo, CC si impegna nello sviluppo e gestione di un’infrastruttura legale, sociale e tecnica che supporti una condivisione aperta che sia d’impatto, generativa, equa, sostenibile e resiliente. Il nostro obiettivo è quello di mantenere e sostenere soluzioni innovative e incentrate sull’utente che rispondano ad esigenze concrete, in modo da incoraggiare una migliore condivisione, soprattutto nel settore dei beni culturali.

Gli strumenti CC possono essere utilizzati per rilasciare nel pubblico dominio le immagini digitali e i relativi metadati o per indicare il loro stato di pubblico dominio. A tal fine, CC mette a disposizione due strumenti: il Public Domain Mark (PDM) e CC0 1.0 Universale – Donazione al pubblico dominio – per un confronto tra i due strumenti, si veda la tabella di comparazione CC0 PDM – Creative Commons. Entrambi gli strumenti servono ad indicare che l’immagine digitale non è soggetta al diritto d’autore.

Esprimiamo, dunque, la nostra preoccupazione per l’esplicito riferimento negativo a Creative Commons e ad uno degli strumenti CC (CC0) nel Piano. Tali riferimenti negativi, nonchè qualsiasi delegittimazione esplicita dell’applicazione di CC0 alle collezioni del patrimonio culturale digitalizzato da parte delle istituzioni culturali per promuovere l’accesso, l’uso e il riutilizzo di contenuti in pubblico dominio, dovrebbero essere rimossi dal Piano. Al contrario, dovrebbero essere riconosciuti gli aspetti positivi e il modo in cui le licenze e gli strumenti CC, inclusa la CC0, possono essere utilizzati a livello globale per una migliore condivisione del patrimonio culturale nell’interesse pubblico.

Per quanto riguarda i dati e i dataset, non raccomandiamo di rilasciarli con licenza CC BY come suggerito dal Piano.
Raccomandiamo invece di utilizzare lo strumento CC0 per rilasciare dati e insiemi di dati in tutta la comunità internazionale. Ci auguriamo che le disposizioni del Piano vengano modificate in questo senso, altrimenti crediamo che il settore culturale italiano subirà conseguenze negative e soffrirà per la perdita di opportunità di rigenerazione creativa
.

4. Le licenze e gli strumenti CC presentano molti vantaggi rispetto ai contratti personalizzati.

Non sosteniamo la decisione del Ministero della Cultura di utilizzare lo strumento MIC Standard per rilasciare riproduzioni fedeli del patrimonio culturale pubblico in pubblico dominio. Innanzitutto, tale approccio unidirezionale renderebbe impossibile la condivisione di immagini di beni culturali su piattaforme di promozione culturale come Wikipedia, che prevede il libero riutilizzo delle risorse digitali ivi pubblicate; infine, ciò porrebbe l’Italia in una posizione di totale chiusura rispetto alle politiche di Open Access. Il rifiuto di adottare strumenti CC o licenze aperte, assenti nel Piano, rappresenta un’occasione persa per sperimentare pratiche già in atto in alcune delle più importanti istituzioni culturali del mondo e pone l’Italia in una posizione di svantaggio nelle collaborazioni transfrontaliere e nei contesti di utilizzo di altri standard aperti, a causa della mancanza di compatibilità.

CC favorisce l’adozione di uno standard globale riconosciuto per le risorse del patrimonio culturale condivise dalle istituzioni culturali. Le licenze e gli strumenti CC sono lo standard più utilizzato. Uno dei principi fondamentali delle licenze CC è la concessione in anticipo di permessi legali chiari e standard agli utenti. Le licenze CC raggiungono questo risultato attraverso termini e condizioni che sono “standard”, ovvero gli stessi termini e condizioni si applicano a tutti i contenuti concessi in licenza con una particolare licenza CC in ogni Paese. Questo riduce i costi di transazione per i creatori che vogliono consentire determinati riutilizzi senza dover negoziare e concedere molte autorizzazioni individuali, e per i riutilizzatori che vogliono utilizzare i contenuti concessi in licenza con il minimo sforzo. Le licenze aperte personalizzate o gli standard “essenzialmente simili alla CC“, come la “Standard MIC” proposta: (1) non hanno il marchio CC, il che rischia di creare confusione sia nella comprensione sia nell’applicazione delle stesse, e (2) per lo più non consentono di remixare i contenuti con i miliardi di opere esistenti (e future) rilasciate in CC. Entrambi questi fattori causeranno una riduzione dell’uso delle immagini del patrimonio culturale da parte della collettività in Italia e all’estero, con effetti deleteri sulla vivacità culturale.

Infine, la proposta di un certificato di identità digitale per le immagini del patrimonio culturale in pubblico dominio rischia di compromettere l’effettiva attuazione dei principi dell’Open Access. Il Piano, inoltre, non è chiaro sulle finalità e sulle modalità del predetto certificato. Manifestiamo, dunque, la preoccupazione che tale certificato sia in contrasto con i principi dell’uso libero e gratuito dei materiali in pubblico dominio.

5. I rischi di compromettere la creatività e l’accesso alla cultura non sono compensati dalle poche opportunità di guadagno derivanti dalle tariffe previste dal Codice dei beni culturali.

Noi di CC ci rendiamo perfettamente conto che le istituzioni culturali spesso devono affrontare notevoli difficoltà finanziarie per rimanere in attività. Molti ricorrono alla concessione in licenza dei diritti delle opere presenti nelle loro collezioni (quando sono i proprietari dei diritti d’autore). Generare un flusso di ricavi dalle licenze è talvolta percepito come un modo per raggiungere la sostenibilità finanziaria. Tuttavia, secondo gli esperti e le evidenze di molti studi sul punto, i modelli di licenza non sono efficaci dal punto di vista dei costi e finiscono per prosciugare le risorse; l’aumento complessivo della notorietà del marchio e le nuove attività alternative generatrici di reddito (comprese le partnership commerciali), rese possibili dalla concessione di licenze aperte, in genere, superano qualsiasi perdita di reddito da licenza.

Fondamentalmente, le istituzioni culturali non dovrebbero essere obbligate per legge a richiedere un compenso per gli usi commerciali del patrimonio in pubblico dominio che gestiscono, poiché ciò contraddice il valore e la funzione del pubblico dominio in quanto importante riserva di espressioni creative dell’umanità.   

Accogliamo tuttavia con favore la disposizione che prevede la possibilità per le istituzioni culturali di pubblicare gratuitamente immagini di beni culturali in pubblico dominio nel settore editoriale, eliminando il limite di 70 euro di prezzo di copertina e di 2000 copie (paragrafo U2 delle “Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riutilizzo di riproduzioni di beni culturali in ambiente digitale”). D’altra parte, la possibilità per le istituzioni di derogare a questa disposizione rischia di compromettere una reale liberalizzazione del settore. Pertanto, chiediamo che tale possibilità di deroga sia esclusa dal Piano. Il riferimento al “profitto indiretto” tiene conto del fatto che, con la modifica del Codice dei beni culturali ad opera della Legge n. 124/2017, tale “profitto indiretto” per la libera diffusione delle immagini è già stato eliminato, estendendo di fatto l’ambito di riutilizzo delle immagini oltre le finalità personali o di studio. Tuttavia, questo assunto si riflette solo nella regolamentazione delle eccezioni proposte per le attività editoriali e non in altri casi di utilizzo commerciale; vorremmo, dunque, che tale eccezione si applicasse a tutti i settori creativi.

Conclusioni

Desideriamo ribadire il nostro gradimento per l’opportunità di prendere parte a questo importante processo di consultazione. CC crede fermamente nel potere dell’accesso aperto per la protezione e la promozione del patrimonio culturale. Questo tipo di condivisione aiuta a costruire e sostenere società vivaci e fiorenti. Le istituzioni culturali sono state per secoli le porte d’accesso al patrimonio culturale mondiale. Rendendo le proprie collezioni il più possibile accessibili, condivisibili e riutilizzabili per la collettività – sia in loco che online – le istituzioni culturali mettono gli individui nella posizione, generazione dopo generazione, di offrire le proprie risorse scientifiche, storiche e socio-culturali per costruire un futuro più luminoso per se stessi e per le proprie comunità di riferimento.

Saremmo molto lieti di incontrare i funzionari responsabili dello sviluppo del Piano per discutere dello stesso, restando a disposizione per qualsiasi ulteriore informazione.

Creative Commons
Creative Commons Capitolo italiano
[Fine del documento]

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English version of the full statement

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