E’ arrivato il momento per Creative Commons di creare uno strumento legale dedicato al settore GLAM per l’etichettatura delle riproduzioni digitali fedeli del patrimonio culturale in pubblico dominio? / Has the time come for Creative Commons to create a dedicated GLAM legal tool for labelling faithful digital reproductions of cultural heritage in the public domain?

Taormina-Sicilia-Italy by gnuckx CCo Public domain dedication

E’ arrivato il momento per Creative Commons di creare uno strumento legale dedicato al settore GLAM per l’etichettatura delle riproduzioni digitali fedeli del patrimonio culturale in pubblico dominio?

Trascorsi circa 20 anni dalla loro nascita, le sei licenze di diritto d’autore con alcuni diritti riservati e gli strumenti legali per l’identificazione dei contenuti in pubblico dominio (forniti gratuitamente in uso alla collettività dall’associazione internazionale no-profit Creative Commons), sembrano non adattarsi perfettamente alle esigenze degli istituti di tutela del patrimonio culturale (indicati anche, per brevità, con l’acronimo inglese GLAM: Galleries, Libraries, Archives and Museums). L’esigenza degli istituti culturali nelle attività volte alla divulgazione in open access delle opere presenti nelle loro collezioni online è quella di attestare visibilmente sulla riproduzione digitale del bene la provenienza del bene stesso al fine di rendere chiaro a ogni potenziale fruitore qual è il rispettivo istituto di conservazione.   

Come è noto, le sei licenze di diritto d’autore possono essere adottate dal titolare dei diritti o dal suo avente causa a ciò autorizzato, al fine di gestire i diritti di utilizzazione economica di opere dell’ingegno protette dalla legge, diverse dal software. 

Creative Commons ha realizzato, inoltre, lo strumento denominato “CC0 dedication to the public domain” (CC0 Universale 1.0 donazione al pubblico dominio), con il quale il titolare dei diritti può dichiarare che non è necessario attribuire l’opera al suo autore in quanto quest’ultimo ha rinunciato ai propri diritti (anche morali, solo nelle legislazioni ove è ammesso) e consente all’utente di modificare e condividere l’opera anche a scopo commerciale. CC0 è definito “waiver”, quale espressione della volontà dell’autore di rinunciare al diritto d’autore e concedere al pubblico dominio la sua opera anticipatamente rispetto la scadenza legale del termine di durata. E’ chiaro che una rinuncia totale del diritto d’autore, comprensiva delle facoltà che costituiscono il diritto morale, non è ammessa nelle legislazioni in cui tale diritto personale non è prescrivibile, né trasmissibile, né rinunciabile (come, ad esempio, in Italia). Il diritto alla attribuzione della paternità e la tutela del decoro e dell’onore dell’autore, lesa a seguito di modificazioni dell’opera, sopravvivono al passaggio in pubblico dominio dell’opera e possono essere fatte valere dai prossimi congiunti e in taluni casi anche dallo Stato. 

L’altro strumento legale per contrassegnare le opere in pubblico dominio offerto da CC è il “Public Domain Mark”- PDM (https://creativecommons.org/choose/mark/?lang=it;%20CC0:%20https://creativecommons.org/publicdomain/zero/1.0/deed.it), applicabile  da chiunque per quelle opere sulle quali non operano restrizioni di diritto d’autore in tutto il mondo, o per quelle opere che sono già effettivamente entrate nel pubblico dominio mondiale prima dello spirare del diritto d’autore per espressa volontà del titolare del diritto d’autore stesso. Il PDM quindi non può essere utilizzato per contrassegnare le opere che si trovano in pubblico dominio solo in alcune giurisdizioni e che siano tutelate dal diritto d’autore in altre. 

Sinora gli istituti di tutela del patrimonio culturale hanno adottato approcci differenti per la divulgazione digitale delle loro collezioni, spaziando da soluzioni che identificano le riproduzioni coerentemente con gli strumenti legali per il pubblico dominio oppure con le licenze CC compatibili con l’open access, sino ad arrivare ad alcuni casi ove, invece, sono state adottate licenze CC più restrittive che limitano il riuso (confronta FAQ ICOM 119: Quali tipologie di licenze d’uso si stanno utilizzando nelle politiche Open Access?)

Da qualche anno sta emergendo l’esigenza sempre più radicata di predisporre degli strumenti ad hoc per il settore GLAM, attraverso i quali gli istituti del patrimonio culturale possano rilasciare e condividere in modo aperto le immagini del patrimonio da loro custodito a fronte di una serie di garanzie di pubblicità specifiche.

L’esigenza principale riguarda la possibilità per i predetti istituti di vedersi riconosciuta l’attività di digitalizzazione del patrimonio da loro effettuata e di poter, quindi, attestare pubblicamente la provenienza (source) della riproduzione. Accade spesso, infatti, che gli istituti impropriamente adottino la licenza CC BY alle riproduzioni digitali di opere in pubblico dominio. Ciò al fine di non imporre alcuna limitazione all’uso della riproduzione ma, al contempo, sfruttare l’obbligo di attribuzione per riportare pubblicamente le informazioni sulla la fonte della riproduzione digitale. Tale prassi non è corretta dal punto di vista giuridico poiché, come detto, le licenze devono avere ad oggetto un’opera protetta (la riproduzione fedele di un’opera in pubblico dominio segue quindi la regola che si applica al bene culturale riprodotto) e, inoltre, l’attribuzione richiesta dalla clausola BY riguarda solo le informazioni circa la paternità dell’opera, oltre quelle sulla licenza applicata e le eventuali modifiche apportate all’opera, e non anche la fonte della digitalizzazione. Si ricorda, poi, che essendo un contratto di licenza, quest’ultimo potrà essere adottato legittimamente solo dal titolare dei diritti d’autore sull’opera, che non sempre si identifica con l’istituto. Infine, l’adozione di tale prassi, riduce notevolmente l’applicazione di CC0 e del Public Domain Mark che, invece, sono gli strumenti più idonei alla condivisione di immagini di opere in pubblico dominio. 

A tal proposito, si rileva che un aspetto particolarmente sentito dagli istituti riguarda la necessità che le informazioni sulla provenienza siano ben visibili per gli utenti e non solo contenute nel file digitale. Un modo per raggiungere tale obiettivo ed assicurare agli istituti culturali la menzione pubblica della provenienza dell’immagine, è quello di abbinare agli strumenti legali di CC per la condivisione di contenuti in pubblico dominio, una serie di strumenti tecnici che consentano l’accessibilità dei contenuti sfruttando le funzioni dei metadati e del machine-readable standard (“Reproductions of Public Domain Works Should Remain in the Public Domain”, Claudio Ruiz, Scann, reperibile:https://creativecommons.org/2019/11/20/reproductions-of-public-domain-works/). Tutto ciò al fine di garantire una forma grafica di pubblicità che consenta la valorizzazione delle informazioni sulla fonte di provenienza. L’esigenza degli istituti di veder riconosciuto il proprio lavoro di digitalizzazione appare legittima e, più in generale, tali informazioni possono avere un ruolo importante anche dal punto di vista della tracciabilità della fonte e della validazione della provenienza dell’immagine agli occhi dell’utente finale.

Si potrebbe allora pensare a un’evoluzione delle licenze Creative Commons per il patrimonio culturale in pubblico dominio che consentano, in caso di copie digitali fedeli di opere in pubblico dominio, di accompagnare alla menzione dell’autore la citazione dell’istituto di provenienza del bene.  Si tratta di una esigenza sempre più avvertita in Europa a seguito dell’implementazione dell’art. 14 della direttiva europea sul copyright che impedisce di imporre diritti esclusivi sulle copie fedeli di opere delle arti visive in pubblico dominio. Più in generale questa soluzione rappresenterebbe un passo in avanti fondamentale nella direzione dell’ampliamento della diffusione e circolazione delle immagini dello sconfinato patrimonio custodito da musei, archivi e biblioteche, eliminando un ostacolo sentito come cruciale da questi ultimi. Il vincolo per l’utente di riconoscere la provenienza dell’immagine del bene all’atto del riuso, in definitiva, è importante per rendere immediatamente riconoscibile il contesto di provenienza del bene (e dunque è un valore aggiunto dal punto di vista conoscitivo), ma è anche, più semplicemente, un modo per riconoscere l’impegno profuso dall’istituto di tutela per la digitalizzazione del bene a fronte della più completa libertà di riuso della riproduzione fedele del bene culturale pubblico e in pubblico dominio che dovrebbe essere garantita a chiunque e per qualunque finalità.

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Has the time come for Creative Commons to create a dedicated GLAM legal tool for labeling faithful digital reproductions of cultural heritage in the public domain?

About 20 years after their inception, the six copyright licences with some rights reserved and the legal tools for the public domain contents (provided free of charge to the community by the international non-profit association Creative Commons), seem not to fit perfectly with the needs of cultural heritage institutions (also referred to, for brevity, as GLAM: Galleries, Libraries, Archives and Museums). The need of cultural heritage institutions in their open access activities for the dissemination of works in their online collections is to visibly attest, on the digital reproduction of the object, the origin of the object itself in order to make clear to every potential user which is the respective institution of preservation.   

As is well known, the six copyright licences can be adopted by the rights holder or its authorised assignee in order to manage the economic rights of intellectual works protected by law, other than software.

Creative Commons has also created a tool called “CC0 dedication to the public domain” (CC0 1.0 Universal (CC0 1.0) Public domain dedication), with which the rights holder can declare that it is not necessary to attribute the work to its author because the latter has renounced his rights (including moral rights, only in legislations where this is allowed) and allows the user to modify and share the work, even for commercial purposes. CC0 is defined as a “waiver”, in the meaning of the author renouncing his copyright and releasing his work into the public domain before the legal protection expiring date. It is clear that a total waiver of copyright, including the moral right, is not allowed in countries where moral right is not prescriptive, transmissible, or renounceable (as, for example, in Italy). The right to the attribution of authorship and the protection of the author’s decorum and honor, damaged by modifications to the work, survive the transfer of the work into the public domain and can be asserted by the next of kin and in some cases by the State.

The other legal tool for marking works in the public domain offered by CC is the “Public Domain Mark” (PDM), which can be used by anyone for those works on which there are no copyright restrictions worldwide, or for those works that have already effectively entered the public domain worldwide before the expiry of copyright by the express will of the copyright holder. The PDM therefore cannot be used to mark works that are in the public domain only in some jurisdictions and are protected by copyright in others.

So far, cultural heritage institutions have adopted different approaches for the digital sharing of their collections, from solutions that identify reproductions in line with legal tools for the public domain or CC licences compatible with open access to some cases where more restrictive CC licences have been adopted (Compare ICOM FAQ 106. Which copyright licenses are adopted in Open Access policies?).

For some years now, there has been a growing need to develop specific tools for the GLAM sector, through which cultural heritage institutions can release and share their heritage images in an open way, subject to a number of specific publicity guarantees.

The main need for these institutions is the possibility to recognize their digitisation activity and to be able to publicly attest the source of the reproduction. It often happens, in fact, that institutions improperly adopt the CC BY licence for digital reproductions of works in the public domain. This is done in order to not impose any restrictions on the use of the reproduction but, at the same time, to exploit the attribution obligation to publicly display information on the source of the digital reproduction. This practice is not correct from a legal point of view since, as mentioned, the licences must concern a protected work (the faithful reproduction of a work in the public domain, therefore, follows the rule that applies to the reproduced cultural good) and, moreover, the attribution required by the BY clause only concerns the information about the authorship of the work, in addition to the information about the licence, applied and any modifications made to the work, and not also the source of the digitisation. It should also be noted that since it is a licence agreement, it can only be legitimately adopted by the copyright holder, which is not always identified with the institution. Lastly, the adoption of this practice considerably reduces the application of CC0 and the Public Domain Mark which, instead, are the most appropriate tools for sharing images of works in the public domain.

In this regard, it should be noted that an aspect particularly felt by institutions concerns the need for information on provenance to be clearly visible to users and not only contained in the digital file. One way to achieve this objective, and to ensure that cultural institutions publicly mention the provenance of the image, is to combine the CC public domain legal tools with a set of technical tools that allow the accessibility of the content by exploiting the functions of metadata and the machine-readable standard (“Reproductions of Public Domain Works Should Remain in the Public Domain”, Claudio Ruiz, Scann, reperibile:https://creativecommons.org/2019/11/20/reproductions-of-public-domain-works/), in order to guarantee a graphical form of publicity that enhances the information on the source of the digitization. The need for institutions to have their digitisation process recognized seems legitimate and, more generally, this information can also play an important role in terms of source traceability and validation of the origin of the image for the users.

It could think about an evolution of the Creative Commons licences for cultural heritage in the public domain, that would allow, in the case of faithful digital reproductions of works in the public domain, to add the mention of the author at the mention of the institution that preserves cultural good. This is a need that is increasingly felt in Europe following the implementation of Article 14 of the European Digital Copyright Directive which prevents the imposition of exclusive rights on faithful reproductions of works of the visual arts in the public domain. More generally, this solution would represent a fundamental step forward in the direction of extending the dissemination and circulation of images of the cultural heritage preserved by museums, archives, and libraries, removing an obstacle felt to be crucial by them. The constraint for the user to recognize the origin of the image of the work at the time of reuse is ultimately important to make the context of the origin of the work itself immediately recognizable (and therefore an added value from a cognitive point of view), but it is also, more simply, a way to recognise the commitment of the institution for the digitisation of the cultural heritage in accordance to the freedom to reuse the faithful reproduction of the public cultural heritage in the public domain, that should be guaranteed to anyone and for any purpose.

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