[Community] Glorioso, ma siamo proprio sicuri che... ?
Nicola A. Grossi
k2 a larivoluzione.it
Lun 25 Lug 2005 09:54:24 CEST
http://punto-informatico.it/p.asp?i=54276
Leggendo l'articolo di Glorioso sulle CCPL (che mi auguro contribuisca a
chetare le acque e non a creare tzunami... perché la rete è come il fuoco:
se ci soffi sopra, o lo spegni o lo alimenti), la frase che più di ogni
altra ha destato la mia attenzione è stata questa:
"Poiché comunque la critica in questione è apparsa su Internet, devo a
malincuore far notare che questo potente e meraviglioso strumento nasce
(anche) grazie a cospicui finanziamenti del governo statunitense.
Finanziamenti a scopo militare".
Questo mi rende confuso perché ho sempre pensato che Internet non fosse
*nato* per scopi *militari* ma per scopi *culturali*.
E proprio qualche giorno fa, sulla rivista "Hacker Journal" ho trovato
conferma a questo mio pensiero:
"Quando raccontano che Internet è nata per scopi militari, non crediamogli.
E' una sciocchezza. Il primo nucleo di Internet collegava non 4 caserme, ma
4 università: California Los Angeles (UCLA), agosto 1969; Stanford Research
Institute (SRI), ottobre; California Santa Barbara (UCSB), novembre; Utah,
dicembre. Chi c'è stato, sa che le università americane sono i posti più
antimilitaristi del mondo, e non parliamo del fatto che era il 1969, anno di
piena protesta studentesca...".
Come ho detto, sono confuso. Chi dice la verità?
La dice Glorioso o la dice "Hacker Journal"? Io, fruitore di informazione,
non lo so.
Siccome il tema è importante e assai ricorrente (se permettete, con tutto
rispetto, un po' più importante di Joichi Ito), forse sarebbe il caso che
una delle due parti (Glorioso / "Hacker Journal") procedesse con una
rettifica.
Altrimenti si fa disinformazione o propaganda... chiamatela un po' come vi
pare.
Per quanto riguarda invece le licenze e l'etica, che sembrerebbero
appartenere a due mondi distanti e non interconnessi, per usare
un'espressione internettiana, esistono "licenze etiche", come la "Developing
Nations 2.0", che rivelano inevitabilmente una strategia politica.
Non ci troviamo più davanti a una paio di forbici con le quali tagliarsi i
capelli o uccidere una persona: ci troviamo davanti a un paio di forbici con
la punta arrotondata (quelle che fanno usare ai bambini perché non si
possano fare del male), con le quali possiamo soltanto tagliarci i capelli
(lo so, è possibile uccidersi anche con le forbicine con la punta
arrotondata: ricordiamoci che si tratta di una metafora).
Se chi elabora una licenza infonde in essa un connotato etico (ma
attenzione: anche la libera condivisione del sapere ha una valenza etica),
allora non possiamo non attribuire all'autore della licenza (che non è un
film dell'horror, la cui sceneggiatura solitamente non viene scritta da un
mostro: insomma, non c'è relazione tra autore e contenuti del film)
dei valori, un pensiero, un'opinione, una stategia politica: non possiamo
continuare a vederlo come una macchina, un computer, un mero strumento.
Creative Commons è dunque scesa in campo (come si dice in politica) e i
sostenitori di Creative Commons, i commoners, sono anche sostenitori di
quella strategia politica.
E' un mondo difficile, come diceva una canzonetta qualche anno fa:
e questo mondo non ha bisogno soltanto di norme, ma anche di giustizia (sono
due cose diverse).
La giustizia ha un aspetto formale ed uno sostanziale:
da una parte c'è l'equità (principio di uguaglianza e proporzione) e
dall'altra c'è l'etica: ciò che attribuisce a un fatto una rilevanza
giuridica; ecco perché tagliarsi i capelli non è giuridicamente rilevante
mentre tagliare una testa lo è. Ecco l'etica: *ciò che ci sembra scontato*.
L'equità senza l'etica cade nell'assurdo:
chi è più povero paga meno tasse di chi è più ricco.
Ma chi ha stabilito che è la condizione economica ad essere giuridicamente
rilevante e non lo è, ad esempio, la bellezza (chi è più bello deve pagare
più tasse di chi è meno bello)?
Lo ha stabilito l'etica: le costituzioni, le dichiarazioni internazionali...
sono quanto di più etico esista al mondo.
Allora la mia speranza è che si tenda a rendere costruttive le critiche e
che si possa fare, tutti insieme, un discorso sereno, onesto, aperto,
disinteressato anche su questi temi (come è già avvenuto su altri).
Sono temi delicati, ma importanti: e dunque, in un modo o nell'altro,
dovremmo affrontarli.
Saluti,
n.a.g.
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