Cosa si può imparare oggi dal fallimento del modello di business dell’azienda Alinari? / What can we learn today from the business model’s failure of the Alinari company?

Leopoldo, Giusepppe e Romualdo Alinari, fondatori della Fratelli Alinari
Leopoldo, Giusepppe e Romualdo Alinari, founders of Fratelli Alinari
1865, Archivi Alinari
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Fonte: Wikimedia Commons

Cosa si può imparare oggi dal fallimento del modello di business dell’azienda Alinari?

L’archivio Alinari è uno degli archivi fotografici più importanti al mondo, la cui storia ebbe origine a Firenze nel 1852 quando i fratelli Leopoldo, Giuseppe e Romualdo Alinari aprirono il loro laboratorio fotografico. Nel corso dei decenni la lungimiranza e la passione dei fratelli Alinari riuscì a costruire un patrimonio di inestimabile valore storico per la capacità delle fotografie di documentare la varietà del patrimonio culturale dei centri storici italiani e, insieme, costumi e tradizioni di una società in rapida trasformazione tra Otto e Novecento.

L’archivio, che conserva complessivamente oltre 5 milioni di documenti fotografici tra positivi e negativi, cornici, strumenti ottici e altro variegato materiale correlato alla fotografia, ha rischiato di recente di essere smembrato a seguito della liquidazione volontaria della società Fratelli Alinari I.D.E.A.: in questa circostanza i proprietari dell’archivio hanno proceduto alla vendita dell’immobile nella sede storica in Largo Alinari a Firenze nonché l’archivio stesso che, al principio del 2020, è stato meritoriamente acquistato dalla Regione Toscana, la quale, ha istituito la Fondazione Alinari per la fotografia (FAF) per assicurare la gestione dell’immenso patrimonio Alinari.

La sfida è stata raccolta dal neo Presidente della Fondazione, Giorgio Van Straten, il quale, nel corso di una recente intervista pubblicata sul Giornale dell’Arte, ha indicati quali saranno le future direttrici su cui imposterà la gestione della Fondazione. Secondo Van Straten lo sfruttamento economico delle riproduzioni digitali in rete delle fotografie rappresenterà uno degli asset strategici della nuova gestione, in stretta continuità con la precedente, nella convinzione di poter produrre in questo modo introiti utili al sostentamento dell’ente (soprattutto a partire da quando non riceverà più finanziamenti diretti dalla Regione), perché “chi usa le immagini per motivi promozionali, pubblicitari ed editoriali”, sostiene Van Straten, “deve contribuire ai costi della fondazione”.

Una visione che appare un po’ miope, se si considera che il fallimento del modello di business adottato dalla società Fratelli Alinari I.D.E.A. per la rivendita delle immagini dei beni culturali pubblici è stata l’ennesima testimonianza della fragilità di questi modelli di business impostati sull’e-commerce. L’azienda riusciva a produrre utili dalla vendita delle foto in piena epoca analogica in cui la realizzazione di tali prodotti aveva alti costi di produzione e gli esemplari non erano facilmente riproducibili e replicabili. Nel contesto attuale, invece, l’ampia circolazione e riproducibilità delle immagini attraverso la rete rende ormai obsoleto un simile modello, come hanno intuito, da una decina d’anni, alcune delle maggiori istituzioni culturali al mondo.

Le straordinarie raccolte fotografiche della New York Public Library sono state digitalizzate e pubblicate in rete ad altissima risoluzione affinché chiunque nel mondo possa riutilizzarne gratuitamente le riproduzioni per qualsiasi finalità (anche commerciale). Si pensi, inoltre, al Rijksmuseum di Amsterdam, che mette a disposizione le riproduzioni della propria collezione in alta risoluzione con licenza CC0, oppure al più noto caso italiano rappresentato dalla Fondazione Museo Egizio di Torino che, come nel caso di Alinari, si trova a gestire beni culturali pubblici digitalizzati rilasciati con licenza CC BY 2.0. Questi casi stanno insegnano che il libero riuso delle immagini, lungi dal determinare un danno economico per gli istituti, permette invece un notevole risparmio economico sui costi di gestione delle pratiche amministrative gestionali e quindi sul personale dedicato accendendo l’interesse del pubblico sul patrimonio e contribuendo a generare economie ben più importanti di quelle originate dalla mera vendita dell’immagine. Mentre il libero riuso sembra essere divenuto ormai parte integrante della mission degli istituti culturali nell’era del digitale, la Fondazione Alinari non riesce ad abbandonare i paradigmi del passato, con il risultato di sottovalutare le potenzialità del digitale come leva di sviluppo e innovazione: l’emergenza epidemiologica in corso ha finito infatti per enfatizzare la differenza tra il bene culturale fisico, la cui fruizione è sempre esclusiva, e il bene culturale digitalizzato, che può essere invece fruito da chiunque nello stesso momento contribuendo a disseminare il sapere e a stimolare l’editoria e ogni forma di creatività. 

La strategia della Fondazione rischia inoltre di apparire ancor più anacronistica se si considera l’imminente ricezione della direttiva Copyright 2019/790/EU da parte del nostro Paese: l’art. 14 della direttiva impone infatti agli Stati membri di rimuovere i diritti connessi sulle riproduzioni fedeli di opere dell’arte visiva in pubblico dominio proprio con lo scopo di promuovere il libero riuso delle riproduzioni stesse, a maggior ragione se esse si riferiscono a beni di proprietà pubblica. 

La memoria storica è importante non solo per imparare dagli errori del passato prossimo, ma anche per riflettere con maggiore consapevolezza sul presente, come ci ricorda un episodio un po’ più distante nel tempo: il 25 marzo 1892 Vittorio Alinari scriveva da Firenze all’allora ministro della Pubblica Istruzione nel tentativo di respingere una proposta di legge che imponeva canoni sulle fotografie di opere d’arte per finalità commerciali (una proposta divenuta realtà con la legge Nasi del 1902 e mantenuta dall’attuale codice dei beni culturali). Ora che il patrimonio Alinari è in mano a un ente pubblico come la Regione Toscana può forse destare qualche sorpresa che la Fondazione si trovi a difendere gli stessi canoni che gli Alinari chiedevano di rimuovere per promuovere l’arte della fotografia.  

E’ lecito infine interrogarsi su un altro aspetto apparentemente secondario, ma che potrebbe avere ricadute ulteriori sulla gestione dell’e-commerce, e cioè le possibili interferenze con il Codice dei beni culturali (D. Lgs. 22/01/2004 n° 42), che individua nel lucro un anacronistico limite alla libera divulgazione delle immagini di beni culturali pubblici (quali sono ora le fotografie Alinari). Se è vero – come pare evidente – che non ci sarà discontinuità con la precedente gestione aziendalistica in termini di licensing, come si regolerà la Fondazione con le fotografie che ritraggono monumenti di proprietà statale? Al canone per l’uso commerciale della fotografia si dovrà aggiungere anche il canone per l’uso commerciale dei beni culturali pubblici raffigurati nelle fotografie Alinari come prevede l’art. 108 del codice dei beni culturali ? Esiste già un accordo in questo senso con il Ministero dei Beni culturali? 

Insomma, ci sembra che la Fondazione abbia perso una straordinaria occasione, quella cioè di diventare un faro per la diffusione in Italia dei principi dell’Open Access che interpretano al meglio il ruolo di servizio pubblico. L’origine dell’archivio come impresa privata indirizzata unicamente al profitto sembra invece pesare ancora molto nelle scelte strategiche del nuovo ente. Non possiamo quindi fare altro che augurare al neo Presidente van Straten di valorizzare al meglio l’inestimabile patrimonio dell’archivio Alinari ripensando la policy di gestione delle immagini in un’ottica maggiormente orientata alla condivisione ed effettiva fruizione da parte della collettività, quale finalità primaria dell’attività pubblica di promozione e valorizzazione dei beni culturali: le filigrane cedano allora il passo alle immagini ad alta risoluzione e il rigido e tradizionale sistema di imposizione di canoni per il riuso commerciale sia sostituito dall’invito a riusare liberamente le digitalizzazioni delle fotografie Alinari, in armonia con quanto richiedono già da tempo Creative Commons, Europeana, Wikimedia, Communia e la comunità OpenGlam in tutto il mondo. 

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ENGLISH VERSION

What can we learn today from the business model’s failure of the Alinari company?

The Alinari Archives is one of the most important photographic archives in the world. Its history began in Florence in 1852 when the brothers Leopoldo, Giuseppe and Romualdo Alinari opened their photographic laboratory. Over the decades, the farsight and passion of the Alinari brothers succeeded in building a patrimony of inestimable historical value for the capacity of the photographs to document the variety of the Italian cultural heritage and, at the same time, customs and traditions of a society in rapid transformation between the 19th and 20th centuries.

The archives, which contains more than 5 million photographic documents including positives and negatives, frames, optical instruments and other photographic-related material, recently risked being dismembered following the voluntary liquidation of the Fratelli Alinari I.D.E.A. company. In fact, in this circumstance, the owners of the archives sold the building in Largo Alinari in Florence, historical headquarter of the company, as well as the archives itself which, at the beginning of 2020, was acquired by the Region of Tuscany, which established the Alinari Foundation for Photography (FAF) to ensure the management of the huge Alinari patrimony.

The challenge has been taken up by the new President of the Foundation, Giorgio Van Straten, who, in a recent interview published in the Giornale dell’Arte, indicated the future guidelines for the management of the Foundation. According to Van Straten’s point of view, the economic exploitation of the digital reproductions of the photographs on the web will represent one of the strategic assets of the new management, in close continuity with the previous approach, in the conviction that in this way it will be able to produce incomes that will be useful to cover the foundation’s expenses (above all from the time when it will no longer receive direct funding from the Region). In this regard, President Van Straten said that “whoever uses the images for promotional, advertising and editorial purposes” “must contribute to the costs of the foundation”.

A vision that seems limited, if we consider the failure of the business model adopted by Fratelli Alinari I.D.E.A. company in relation with the selling of the public cultural heritage images as another testimony of the fragility of this kind of business models based on e-commerce. In fact, the company was able to produce profits selling photos in the analogue era, in which the realization of such products had high production costs and they were not easy to reproduce and replicate. In the present context, however, the wide circulation and reproducibility of digital images through the web makes such a model out of date, as some of the world’s major Cultural Institutions have realized in the last ten years.

The extraordinary photographic collections of the New York Library have been digitized and published on the web at very high resolution so that anyone in the world can freely reuse it for any purpose (even commercial). Rijksmuseum in Amsterdam makes available reproductions of its collection in high resolution under  CC0 license; in Italy, the Egyptian Museum Foundation in Turin, as in the case of Alinari, manage digitized public cultural heritage released under CC BY 2.0 license. These cases prove that the free reuse of images, far from determining economic damage for the institutions, allows a relevant economic saving on the costs of administrative management practices, igniting the interest of the public on the cultural heritage and contributing to generate economies much more important than those originating from the sale of the images. While free reuse seems to have become a fundamental part of the mission of Cultural Institutions in the digital age, the Alinari Foundation doesn’t want to change the approach of the past, underestimating the potential of the digital technologies as a lever of development and innovation. In fact, the current epidemiological emergency emphasized the difference between the physical cultural heritage, whose use is always exclusive, and the digitized cultural heritage, which can be used by anyone at the same time, contributing to the dissemination of knowledge and stimulating publishing and every form of creativity.

Moreover, the Foundation’s strategy appears even more anachronistic if we consider the imminent reception of the DSM Directive 2019/790/EU by Italy: in fact, art. 14 of the Directive requires the Member States to remove related rights on faithful reproductions of works of visual art in the public domain, in order to promote the free reuse of the reproductions themselves, even more if they reproduce public cultural heritage.

Historical memory is important not only to learn from the past but also to reflect with greater awareness on the present. In this sense, it is important to consider an episode of the past: on March 25th, 1892, Vittorio Alinari wrote from Florence to the Minister of Education asking to reject a proposal for a law that imposed fees on photographs of works of art for commercial purposes (a proposal that became reality with the Nasi Law of 1902 and is maintained by the current Code of Cultural Heritage). Now that the Alinari patrimony is in the hands of a public body like the Region of Tuscany, it comes as a surprise that the Foundation defends the same fees that Alinari, in the past, asked to be removed in order to promote the art of photography.

Finally, it is legitimate to think about another aspect that seems secondary but which could have further repercussions on the management of Alinari Foundation’s e-commerce: the possible interference with the Italian Cultural Heritage Code (D. Lgs. 22/01/2004 n° 42) that anachronistically limit the free use of images of public cultural heritage (such as the Alinari photographs) excluding the commercial use. If it is true – as seems evident – that there will be no discontinuity with the previous business management in terms of licensing, how will the Foundation manage the cases in which the photographs contain public monuments? The fee for the commercial use of the public cultural heritage (stated by art. 108 of the Italian Cultural heritage Code, that are contained in the photographs, will be added to the fee for the commercial use of the Alinari photographs themselves? Is there already any kind of agreement in this sense with the Italian Ministry of Cultural Heritage? 

It seems that the Foundation has missed an extraordinary opportunity to become a positive example for diffusion, in Italy, of the Open Access values that represent the best interpretation of the role of public service. The origin of the Alinari archives as a private company, aimed solely at profit, still seems to have an important weight in the strategic choices of the new Foundation. Therefore, we wish the new President Van Straten the best in managing and promoting the patrimony of the Alinari archives, rethinking the policy of images management and encouraging the sharing and effective use by the community, as the primary purpose of the public activity regarding the cultural heritage. So, we hope that the watermarks will give way to high-resolution images and the rigid and traditional system of fees for commercial uses will be replaced by the free reuse of the digitizations of Alinari photographs, accordingly with what Creative Commons, Europeana, Wikimedia, Communia and the OpenGlam community all over the world have been asking for a long time.

 

 

 

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