Audizione del Capitolo italiano presso il Senato della Repubblica Italiana sull’implementazione della direttiva 2019/790/EU (c.d. dir. Copyright)

Cari commoners,
siamo felici di comunicarvi che ieri, 14 maggio 2020, il Capitolo italiano è stato audito al Senato per esprimere il proprio parere sulla trasposizione della direttiva 2019/790/EU (c.d. Copyright).

Continuiamo a lavorare senza sosta per l’open culture!!

Per guardare l’intervento completo del nostro Chapter lead, l’avv. Deborah De Angelis, clicca qui (minuto 3:42:58).

Di seguito la relazione completa.

14 maggio 2020

Audizione informale del Capitolo italiano di Creative Commons 

presso la XIV Commissione permanente (Politiche dell’Unione Europea) 

del Senato della Repubblica Italiana  sul disegno di legge n. 1721 

(Legge di delegazione europea 2019)

Per guardare l’intervento completo clicca qui (minuto 3:42:58)

Sommario 
– Introduzione.

– Motivi dell’audizione.
    1. Adozione delle eccezioni già previste dalla direttiva 2001/29/CE
    2. L’eccezione per la conservazione del patrimonio culturale (articolo 6)
    3. Esclusione contrattuale e tecnologica (articolo 7)
4.
Pubblico dominio (articolo 14)
– Testo dell’emendamento al DDL n. 1721 (Legge di delegazione europea    2019, articolo 9)

Relazione

Introduzione

Creative Commons (CC) è un’organizzazione no-profit nata negli Stati Uniti nel 2001, con l’intento di adattare i principi di diritto d’autore alle utilizzazioni on line delle opere dell’ingegno e diffondere la cultura della condivisione in tutto il mondo. 

Oggi la comunità internazionale si avvale di una rete di 603 membri individuali (ricercatori, attivisti, legali, professionisti del settore educativo e volontari da oltre 70 paesi) e di 43 capitoli nazionali.

I paesi dove è presente il capitolo nazionale Creative Commons [https://network.creativecommons.org/chapter/ (13 maggio 2020)].

L’attività di CC è dedicata ad ampliare la sfera delle opere disponibili per la condivisione e il riuso legale e a sostenere la valorizzazione del pubblico dominio, affinché le opere per le quali la durata di protezione legale è scaduta siano liberamente accessibili a tutti.

Creative Commons collabora con istituzioni pubbliche e soggetti privati, concentrando la propria attività nella promozione e nel sostegno di progetti operanti nell’ambito dell’open access, open education e open science.

Creative Commons ha il pregio di aver costruito una comunità globale basata sulla condivisione della creatività e della conoscenza, sostenendo milioni di autori e artisti nel mondo e aspirando alla definizione di un ecosistema della creatività in rete accessibile e innovativo. 

Opere licenziate con licenze Creative Commons nel mondo [https://stateof.creativecommons.org/].

A tal fine, CC fornisce agli utenti sei tipologie di licenze di diritto d’autore, gratuite e facili da usare, ciascuna delle quali richiede l’attribuzione della paternità e consente la scelta di concedere o meno la facoltà di utilizzare l’opera per fini commerciali e/o il diritto di modificare l’opera originale, eventualmente condizionando la condivisione dell’opera derivata con l’adozione della stessa licenza CC con la quale è stata pubblicata l’opera originale (clausola c.d. condividi allo stesso modo). 

Le diverse licenze Creative Commons.

Le licenze CC semplificano le modalità di condivisione del lavoro creativo e garantiscono che le informazioni sul regime di tutela del diritto d’autore (sia morale sia patrimoniale) siano visibili e facili da reperire. 

Il Capitolo italiano persegue a livello locale l’implementazione dei valori sanciti da CC a livello globale, avvalendosi di collaboratori volontari e del proprio membro istituzionale, l’Istituto di Informatica Giuridica e Sistemi Giudiziari (IGSG) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). 

Il Capitolo svolge un importante ruolo di intermediazione, promuovendo l’implementazione delle licenze sul territorio italiano anche da parte degli istituti di istruzione e degli istituti di tutela del patrimonio culturale che manifestano interesse per questi strumenti. 

È fondamentale, infatti, adattare e interpretare le licenze alla luce del quadro normativo italiano e in relazione alle precipue caratteristiche del patrimonio culturale della penisola, favorendo la predisposizione per l’open culture e assistendo i soggetti preposti alla tutela dei beni culturali.

Motivi dell’audizione

Il capitolo italiano di Creative Commons desidera esporre le proprie posizioni al fine di segnalare al legislatore alcuni profili dell’art. 9 del disegno di legge n. 1721 (Legge di delegazione europea 2019) che stimolano una riflessione.

L’obiettivo del capitolo italiano è favorire un recepimento della direttiva 2019/790/EU che garantisca il bilanciamento degli interessi dei titolari dei diritti con quelli degli utenti e della società civile, per promuovere un’ampia circolazione delle opere e incentivare i settori culturali strategici per la ripresa e il futuro sviluppo nazionale.

A tal fine, riteniamo fondamentale che tutti gli istituti giuridici oggetto della direttiva 2019/790/EU siano implementati sulla base dei principi espressi dai considerando (da ritenersi un vero e proprio strumento interpretativo e orientativo per il legislatore nazionale) indirizzati alla massimizzazione delle libere utilizzazioni. 

Non appare condivisibile la statuizione contenuta a pag. 11 del DDL n. 1721, ove si legge che, per il grado di completezza, la direttiva in commento sia da considerarsi “self-executing” e pertanto “avendo previsto in maniera sufficientemente dettagliata la disciplina a cui si indirizza e, tenuti fermi i criteri attuativi e i limiti dettati dall’art. 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234” si limita a indicare alcuni dei criteri direttivi previsti.

La presente posizione del capitolo italiano di Creative Commons, al fine di un equilibrato recepimento della norma europea, raccomanda la posizione espressa dalle linee guida pubblicate da Communia e tradotte in italiano su iniziativa di Wikimedia Italia.

1. Adozione delle eccezioni già previste dalla direttiva 2001/29/CE

In primo luogo, alla luce dei principi e dei criteri enucleati nella direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, che ritengono necessario che la legislazione in materia sia adeguata alle esigenze future, in modo da non limitare l’evoluzione tecnologica (considerando 3) e al fine di accompagnare gli Stati membri verso un quadro normativo moderno e più europeo del diritto d’autore, è necessario innanzitutto approfondire la questione relativa alla ricezione delle eccezioni già previste dalla direttiva 2001/29/CE (cosiddetta dir. Infosoc), normativa attuata in modo parziale dal legislatore italiano. 

L’art. 25 della dir. 790/2019/EU in tema di rapporto di relazione con le eccezioni e limitazioni previste da altre direttive, promuove la possibilità per gli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più ampie (di cui alla direttiva 96/9/CE, in tema di banche dati e alla direttiva 2001/29/CE, c.d. Infosoc, in tema di diritto d’autore e diritti connessi nella società dell’informazione).

In particolare, ci si riferisce alle eccezioni di cui all’art. 5, par. 3 (lett. h, i, k) della predetta direttiva Infosoc che prevedono la facoltà degli Stati membri di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione:

h) “quando si utilizzino opere, quali opere di architettura o di scultura, realizzate per essere collocate stabilmente in luoghi pubblici”, c.d. libertà di panorama. 

Il mancato recepimento dell’eccezione in esame genera conseguenze fortemente dannose per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Senza la c.d. “libertà di panorama”, infatti, i nostri monumenti, ancora sotto la tutela del diritto d’autore, ma visibili dalla pubblica via, non possono essere riprodotti e le loro immagini non possono comparire online legalmente, a differenza di quanto avviene in paesi che più saggiamente hanno perseguito questo obiettivo.

Immagine estratta dalla pagina https://it.wikipedia.org/wiki/Libert%C3%A0_di_panorama

i) “in caso di inclusione occasionale di opere o materiali di altro tipo in altri materiali”, c.d. remix. 

Tale manifestazione creativa è strettamente collegata alle tecnologie digitali ed è uno strumento espressivo attuale e fortemente rappresentativo della società contemporanea. Il mancato recepimento dell’eccezione, dunque, è penalizzante per la libera espressione creativa poiché qualifica come illegali una serie di attività partecipative che si sono evolute e sviluppate nel web (per citarne alcune: digital sampling, fan videomaking, fan fiction writing, mush-up), che hanno il pregio di promuovere le opere e di massimizzare le forme di utilizzazione.

k) “quando l’utilizzo avvenga a scopo di caricatura, parodia o pastiche”.

In questo caso, l’eccezione dovrebbe essere adottata in via generale e non limitatamente alla disciplina dettata dall’art. 17, par. 7, della direttiva 2019/790/EU che, in tema di utilizzo di contenuti protetti da parte dei prestatori di servizi di condivisione on line, stabilisce che gli Stati membri provvedano ad avvalersi delle eccezioni ivi indicate.

Ugualmente cruciale è il recepimento dell’eccezione di cui all’art. 5, par. 2, lett. c) della direttiva Infosoc che prevede la facoltà degli Stati membri di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione per quanto riguarda:

c) gli atti di riproduzione specifici effettuati da biblioteche accessibili al pubblico, istituti di istruzione, musei o archivi che non tendono ad alcun vantaggio economico o commerciale, diretto o indiretto;

La mancata trasposizione dell’eccezione genera problematiche rilevanti dal punto di vista pratico, impedendo di fatto agli enti di esercitare le proprie funzioni e raggiungere gli obiettivi e le finalità che li caratterizzano.

Si verifica dunque il paradosso per cui gli istituti non possono riprodurre digitalmente i beni che hanno in custodia neanche per i servizi interni che si rendono necessari per adempiere alle proprie ordinarie attività. La legge sul diritto d’autore, infatti, consente loro solo la fotocopia (art. 68, comma 2), limitandone gravemente le possibilità operative.

Per tali ragioni diventa complesso anche ottemperare agli obblighi di conservazione del patrimonio culturale che detengono, così come sancito dall’art. 6 della direttiva 2019/790/EU.

Infine, si evidenzia che l’eccezione prevista all’art. 5, par. 2, lett. b) della direttiva Infosoc, ha trovato nell’ordinamento italiano un recepimento parziale ed incompleto.

La norma prevede la possibilità per gli Stati membri di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione in relazione alle:

b) le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso che tenga conto dell’applicazione o meno delle misure tecnologiche di cui all’articolo 6 all’opera o agli altri materiali interessati;

La previsione europea ha trovato trasposizione nell’ordinamento italiano attraverso l’istituto della copia privata. Andrebbe valutata, però, l’opportunità di ampliare l’eccezione alle altre tipologie di opere che risultano in consultazione nelle biblioteche.

****

Procedendo all’analisi delle norme della direttiva 2019/790/EU, la disamina si concentrerà sugli aspetti che non sono stati oggetto dei principi e criteri direttivi del DDL n. 1721, e in particolare sugli articoli 6, 7 e 14.

2. L’eccezione per la conservazione del patrimonio culturale (articolo 6)

La norma, che disciplina la “conservazione del patrimonio culturale”, è una disposizione importante per garantire certezza a una delle attività istituzionali di rilievo degli istituti di tutela. L’eccezione, che è obbligatoria, consente agli istituti di tutela del patrimonio culturale di realizzare “copie delle opere o di materiali presente permanentemente nelle loro raccolte, in qualsiasi formato o su qualsiasi supporto a fini di conservazione”. Tale previsione è stata necessaria in quanto è ancora comune che vi siano limiti impliciti o espliciti al modo in cui le copie vengano eseguite, ai formati della versione originale o di una nuova versione e al numero di copie effettuate. Tutti questi vincoli limitano la possibilità di utilizzare la digitalizzazione — vale a dire la creazione di copie digitali e la loro adeguata conservazione, anche da materiali non originariamente in formato digitale — per realizzare la missione degli istituti di tutela del patrimonio culturale. 

L’art. 9 del DDL n. 1721 non fa alcun riferimento all’eccezione in esame, seppure si ritiene che la stessa, lungi dall’essere precisa e circostanziata, richieda una scelta politica di indirizzo per sostenerne la migliore attuazione. 

La finalità della norma europea è quella di consentire agli istituti preposti alla tutela del patrimonio culturale di preservare e valorizzare tali beni anche attraverso l’impiego di processi di digitalizzazione. 

Per una corretta trasposizione dell’art. 6 è fondamentale che il legislatore fornisca un’ampia definizione del significato di “opera o altri materiali presente permanentemente nelle loro raccolte”, ricomprendendo anche le opere cui l’istituto ha accesso per un periodo rilevante di tempo, nonché le opere su supporto fisico in buone condizioni, per le quali la finalità conservativa si esplica precauzionalmente attraverso la prevenzione del deterioramento.

Allo stesso modo, deve essere prevista l’estensione della lista delle attività consentite, includendo tutte le azioni che risultano connesse agli obblighi di conservazione dell’istituto (ad es. la creazione di cataloghi e bibliografie, la descrizione catalografica e l’inventariazione). 

D’altro canto, ugualmente aperta dovrebbe essere la definizione di strumenti, supporti, formati e partner coinvolti nel processo. Così come chiarito dal considerando 27, infatti, ciò che rileva è la finalità ultima di conservazione, perseguibile attraverso modalità differenti in base al contesto di riferimento. Una strutturazione della norma in questi termini trova ampia giustificazione anche in considerazione degli eventuali ostacoli economici e operativi riscontrabili nella pratica. La norma di trasposizione non può prescindere, infatti, da una valutazione specifica delle peculiarità degli enti beneficiari, che in molti casi presentano le più disparate caratteristiche e diversità. In tale ottica, la condivisione di strumenti per la digitalizzazione e la collaborazione con soggetti terzi, anche situati in altri stati membri dell’unione europea, permetterebbero di conservare in digitale anche agli enti che individualmente non hanno le capacità economiche e pratico-professionali per farlo, con un’indubbia ottimizzazione delle risorse esistenti e un risparmio vantaggioso anche in termini ambientali. 

Sarebbe auspicabile, dunque, garantire che gli istituti di tutela del patrimonio culturale possano conservare copie di opere alle quali hanno accesso su server di terze parti prevedendo, al contempo, la possibilità di utilizzi interni, nonché l’archiviazione di risorse online (web harvesting). 

A tal proposito, l’implementazione dell’art. 6 impone una revisione dell’art. 68, comma 2 della legge sul diritto d’autore (L. n. 633 del 1941) al fine di ammettere la riproduzione digitale (e non solo la fotocopia, come affermato dall’art. 68) di “opere esistenti nelle biblioteche accessibili al pubblico o in quelle scolastiche, nei musei pubblici o negli archivi pubblici, effettuata dai predetti organismi per i propri servizi, senza alcun vantaggio economico o commerciale diretto o indiretto”. Attualmente, infatti, i predetti enti sono messi nell’impossibilità di riprodurre con lo scanner le opere che hanno in custodia. Lo sfruttamento degli strumenti di riproduzione digitale in tal senso è una risorsa imprescindibile per ottemperare agli obblighi di conservazione degli istituti così come esplicitata nel testo della direttiva. Le riproduzioni, infatti, consentirebbero agli istituti di usufruire dei beni in formato digitale, per finalità interne e di servizio, preservando le versioni fisiche originali maggiormente soggette all’usura.

Sarebbe auspicabile, infine, prevedere espressamente la possibilità per i predetti enti di consentire la fruizione in loco delle riproduzioni digitali dei beni in postazioni informatiche interne agli istituti di cultura anche da parte di più utenti contemporaneamente, agevolando in questo modo la conoscenza del patrimonio da essi detenuto e salvaguardando gli originali, che potrebbero essere oggetto di consultazione solo nel caso in cui tale attività risulti strettamente necessario all’attività di ricerca.

3. Esclusione contrattuale e tecnologica (articolo 7)

L’articolo 7 disciplina il rapporto tra le eccezioni al diritto d’autore e i contratti, e tra le eccezioni al diritto d’autore e le misure tecnologiche di protezione (“TPM”).

Ai sensi della suddetta norma, alcune delle nuove eccezioni e limitazioni obbligatorie al diritto d’autore, tra cui quella prevista dall’art. 6 di cui al paragrafo precedente, non possono essere escluse da una scrittura privata che sarebbe inapplicabile, a prescindere dal Paese in cui è stato concluso il contratto, o dalla legge del Paese che lo regola, garantendo, in questo modo, che gli utenti possano continuare a beneficiare dell’eccezione e ignorare semplicemente qualsiasi disposizione contrattuale contraria. 

Ugualmente, il secondo paragrafo dell’art. 7, prevede l’obbligo per gli Stati membri di garantire che gli utenti possano accedere e utilizzare contenuti protetti da misure tecnologiche di protezione (TPM) in virtù di alcune delle nuove eccezioni obbligatorie, tra cui anche quella prevista all’art. 6. E’ il caso, ad esempio, di un istituto di tutela del patrimonio culturale che non è in grado riprodurre a fini conservativi un’opera, perché la stessa è protetta da una misura tecnologica che ne impedisce l’accesso (ad es. un’opera in formato .pdf non abilitato alla stampa).

La direttiva non modifica le norme europee esistenti in materia di TPM, ma si limita a offrire agli utenti la facoltà di richiedere al titolare dei diritti di fornire i mezzi tecnologici necessari per beneficiare delle eccezioni, e non la possibilità di rimuovere le TPM stesse. 

Secondo il capitolo italiano, a questo proposito sarebbe indispensabile che la trasposizione dell’art. 7 prevedesse l’attuazione di procedure rapide e trasparenti con lo scopo di mettere gli utenti nelle condizioni di accedere e utilizzare i contenuti protetti dalle TPM senza ritardi, creando al contempo incentivi affinché i titolari dei diritti d’autore rispettino gli utenti nell’esercizio di un’eccezione. A tal fine si propone di aggiungere una lettera all’articolo 9 del DDL n. 1721 in cui si preveda la fissazione di un termine breve entro il quale la richiesta di accesso deve avere seguito nonché una sanzione proporzionata ed efficace nel caso il termine non sia rispettato.

4. Pubblico dominio (articolo 14)

L’adozione dell’eccezione per la libertà di panorama sopra raccomandata non risulta sufficiente a restituire la libertà di riproduzione e di comunicazione al pubblico delle immagini di opere collocate stabilmente in luoghi pubblici, se non si interviene anche sulle norme che, pur rimossi gli impedimenti provenienti dal diritto d’autore, continuano a ostacolare la libera fruizione delle riproduzioni dei beni culturali di pubblico dominio. Il riferimento è all’art. 108 del D. Lgs. 42/2004 (d’ora in poi “codice dei beni culturali”), al quale è imprescindibile apportare una puntuale modifica.

L’articolo 14 impone agli Stati membri di modificare la loro legislazione al fine di chiarire che le riproduzioni fedeli di opere delle arti visive di pubblico dominio non possano essere protette dal diritto d’autore o da diritti connessi, a meno che il materiale derivante da un tale atto di riproduzione sia originale, nel senso che costituisce una creazione intellettuale propria dell’autore.

Il legislatore, ponendo tali materiali non originali al di fuori dell’ambito di protezione dei diritti esclusivi, interviene per garantire che le persone o gli enti che effettuano tali riproduzioni fedeli di un’opera delle arti visive di pubblico dominio non possano impedire ad altri di utilizzare liberamente tali riproduzioni.

Alla luce del considerando 53 e dei chiarimenti forniti dalla stessa Commissione europea in forma di FAQ, la “circolazione di riproduzioni fedeli di opere di dominio pubblico favorisce l’accesso alla cultura e la sua promozione e l’accesso al patrimonio culturale”, affinché chiunque possa copiare, usare e condividere immagini di opere d’arte di pubblico dominio presenti nel web e possa riutilizzarle, anche per ragioni commerciali. 

L’art. 14 della direttiva intende ampliare le possibilità di riutilizzo delle immagini di beni in consegna a musei, archivi e biblioteche, il cui riuso in molti istituti europei è ancora sottoposto a pesanti vincoli rappresentati dalla previsione di esclusive a titolo di diritto connesso sulle immagini. In Italia, tali limitazioni si ritrovano sia nella disciplina delle fotografie semplici di cui agli artt. 87 e 88 della legge sul diritto d’autore, sia negli articoli 106 e ss del codice dei beni culturali; quest’ultimo sottopone le immagini (indipendentemente dal fatto che siano tutelate o meno dal diritto d’autore) a una forma di protezione “dominicale” collegata alla detenzione dell’esemplare dell’opera in cura o custodia. 

Se non si intervenisse contestualmente sul codice dei beni culturali, l’art. 14 della direttiva rischierebbe di rimanere privo di effetti significativi, dal momento che, rimuovendo i soli diritti connessi dei fotografi sanciti dalle suddette norme della legge sul diritto d’autore, si priverebbe comunque la collettività di riutilizzare, attraverso l’adozione di licenze aperte, le immagini dei beni culturali di pubblico dominio in consegna a musei, archivi e biblioteche. Questi ultimi, al di fuori degli utilizzi senza fini di lucro, rimarrebbero infatti soggetti al regime di concessione a titolo oneroso, il quale limita gravemente le iniziative editoriali, anche digitali, o comunque atte alla promozione e valorizzazione degli stessi beni e al riuso creativo delle loro immagini. 

Va detto, a questo proposito, che il libero riutilizzo delle immagini del patrimonio culturale pubblico, senza restrizione, che l’art. 14 intende promuovere, è già realtà in un numero crescente di istituti culturali pubblici come il Rijksmuseum, la Galleria Nazionale di Danimarca o il Museo Nazionale di Stoccolma, ed è stato peraltro caldeggiato dalla recente risoluzione della commissione cultura della Camera dei Deputati del 5 maggio u.s. su cui si è registrata un’ampia adesione da parte delle maggiori forze politiche, che impegna il Governo:

a valutare l’opportunità di adottare iniziative volte a favorire, nel rispetto della normativa sul diritto d’autore, la libera riproduzione e divulgazione di immagini di beni culturali pubblici, compresi quelli visibili dalla pubblica via, attraverso l’utilizzo, tra la rosa delle licenze Creative Commons, di quelle tipiche dell’Open Access, nonché volte a riconoscere la facoltà dei direttori di istituti centrali e periferici del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo di licenziare immagini in rete attraverso licenze Creative Commons di libero riuso

Nonostante le limitazioni imposte dalla legge, in Italia si registra, da un lato, la diffusa volontà di musei e biblioteche di adottare le licenze libere per la condivisione delle immagini di beni culturali in loro custodia e, dall’altro, la massima risposta da parte degli istituti centrali e periferici del MiBACT di concedere l’autorizzazione alla riproduzione fotografica dei beni culturali da parte dei fotografi partecipanti al concorso annuale Wiki Loves Monuments (WML) organizzato da Wikimedia.

La condivisione delle immagini dei beni culturali mediante licenze aperte ha permesso a numerosi musei di porsi al servizio del pubblico in modo più inclusivo ed efficace, stimolando la ricerca, l’editoria e la creatività e generando significativi benefici anche in termini di visibilità e attrattività per finanziamenti pubblici e privati, nonché l’ideazione di nuovi modelli di business a supporto dell’attività istituzionale e con un ritorno sia in termini di profitto che di immagine. 

Una reciprocità di vantaggi per gli istituti della cultura e per il pubblico, che tra l’altro non si accompagna ad alcuna riduzione significativa di introiti per gli istituti, come dimostra una ormai decennale bibliografia internazionale sull’argomento

L’implementazione dell’art. 14 appare quindi una strada fondamentale da percorrere per creare innovazione, per trasformare il digitale in una opportunità per tutti e in definitiva per dare attuazione a una effettiva “democrazia della conoscenza” a livello europeo, ma anche per rispondere in forma più compiuta al dettato costituzionale, in particolare all’art. 9 («La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica») e all’art. 33 («L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»).

Come già anticipato, per garantire un’efficace implementazione dell’art. 14, è necessario intervenire in senso modificativo sulle norme interne già esistenti, che altrimenti continuerebbero a limitare l’effettiva applicazione della norma.

Per tali ragioni si rende necessaria la modifica dell’art. 87 della legge sul diritto d’autore, al fine di escludere le riproduzioni di opere del patrimonio culturale dalla tutela prevista dalle norme di diritto d’autore, e adeguare la definizione delle stesse ai concetti enucleati nell’art. 14. In tale ottica, le “opere delle arti visive”, la cui definizione è demandata nel dettaglio al legislatore nazionale, dovrebbero essere fatte coincidere con la definizione di beni culturali sancita dagli artt. 10 e 13 del codice dei beni culturali, al fine di ricomprendere le riproduzioni bidimensionali e tridimensionali di questi ultimi – nel caso in cui non costituiscano esse stesse opere creative –, nell’ambito operativo della norma.

Inoltre, affinché l’art. 14 trovi piena e compiuta trasposizione, è fondamentale intervenire sul codice dei beni culturali e, nello specifico, sull’art. 108 che disciplina l’utilizzo delle riproduzioni di beni culturali pubblici, al fine di consentire il libero riutilizzo delle loro immagini senza restrizioni legate alle finalità. 

Una modifica circoscritta all’art. 108, che regolamenta la riproduzione di beni culturali appartenenti al MiBACT, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali così come individuati dall’art. 107, tuttavia, continuerebbe a escludere il libero riutilizzo delle immagini dei beni appartenenti a ogni altro ente, istituto pubblico, persona giuridica privata senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, nonché di quelli appartenenti a soggetti privati e dichiarati di interesse culturale, rispetto ai quali la possibilità di effettuare riprese fotografiche può essere assoggettata a limitazioni discrezionali, anche attraverso l’imposizione di vincoli nel successivo utilizzo. Per tale ragione è opportuno intervenire anche sull’art. 38 del codice dei beni culturali, che prevede l’obbligo di apertura al pubblico per i beni culturali restaurati o sottoposti ad altri interventi conservativi con il concorso totale o parziale dello Stato nella spesa, o per i quali siano stati concessi contributi in conto interessi, al fine di inserire un esplicito riferimento alla libertà di effettuare riprese e diffondere immagini, anche effettuate da terzi, dei beni oggetto dell’intervento conservativo, nel rispetto delle norme poste a tutela della riservatezza e del diritto d’autore.

Testo dell’emendamento al DDL n. 1721
(Legge di delegazione europea 2019, articolo 9)

Al comma 1, lettera a), dopo le parole “definizione di” aggiungere le seguenti: 

“opere o materiali presente permanentemente nelle loro raccolte, fini di conservazione,”

Dopo la parola “custoditi” aggiungere: 

“applicare all’opera delle arti visive la definizione prevista dagli art. 10 e 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42

Al comma 1, dopo la lettera q), aggiungere le seguenti: 

“r) specificare che gli istituti di tutela del patrimonio culturale possono utilizzare qualsiasi strumento appropriato ai fini della conservazione prevista dall’art. 6, anche attraverso l’utilizzo di reti di istituti di tutela del patrimonio culturale dedite alla conservazione e la collaborazione con soggetti terzi, anche se situati in altri Stati membri dell’Unione europea; specificare che l’eccezione ai fini di conservazione del patrimonio culturale ha natura obbligatoria e non è derogabile per via contrattuale; specificare che l’esercizio dell’eccezione per la conservazione del patrimonio culturale non dà diritto ad equo compenso; 

s) esercitare tutte le opzioni previste dall’articolo 5 della direttiva 2001/29/CE che siano coerenti con i principi e criteri generali della direttiva 2019/790/EU e con l’obiettivo di massimizzare le libere utilizzazioni;

t) individuare la disciplina volta a perseguire quanto previsto dall’articolo 14 della direttiva e, nei limiti della direttiva 2019/790/EU e dell’esercizio della presente delega, modificare o abrogare le disposizioni incompatibili, ivi inclusi gli artt. 38 e 108 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e l’art. 87 della legge 22 aprile 1941, n. 633;

u) con riferimento all’art. 7, par. 2, stabilire un termine breve entro il quale la richiesta di accesso deve avere seguito e prevedere una sanzione proporzionata ed efficace nel caso il termine non sia rispettato;

v) garantire il dialogo fra i portatori di interessi anche in fase di attuazione degli articoli 6 e 14 della direttiva 2019/790/EU

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