Articolo CNET: “Le Creative Commons rendono liberi i contenuti?”

Creative Commons è un’organizzazione che consente la diffusione di opere creative sotto licenze che offrono maggiore flessibilità rispetto alla protezione dei “tutti i diritti riservati” automaticamente messa in essere dalla legge sul diritto d’autore.

Recentemente John Dvorak ha scritto un articolo in cui chiedeva quale fosse il valore positivo delle Creative Commons. Ne ho parlato con la collega di CNET Molly Wood, e anche lei mi ha detto di non aver pienamente compreso l’utilità di tali licenze.

Nel frattempo, 53 milioni di opere su internet sono linkate a licenze Creative Commons. Molte persone ne vanno abbracciando il concetto. Ma si tratta forse di qualcosa di pericoloso? O di rivoluzionario? Oppure non ha senso? Quanto segue è il tentativo di chiarire cosa sono queste licenze follemente popolari e se possano risultare davvero utili.

Come funzionano le Creative Commons

Questo il concetto alla base delle licenze Creative Commons, per come lo comprendo io. Ogni opera creativa viene automaticamente tutelata nel momento in cui la si completa mettendo nero su bianco, premendo il tasto ’salva’ o quello ‘registra’. Questa tutela assegna tutti i diritti a chi ha creato l’opera. Nessuno può usare tale opera senza l’esplicito permesso scritto dell’autore, ad eccezione dei casi stabiliti per l’uso consentito a norma di legge. (Tra un momento chiariremo cosa s’intende con ‘uso consentito’ [1]).

Creative Commons offre una serie di licenze in qualche modo standardizzate a cui un autore può ricorrere per offrire ulteriori diritti al pubblico. Ciò è analogo alla GPL utilizzata nel software. (Quel che mi è risultato difficile comprendere e illustrare nella stesura di questo articolo è il fatto che in realtà le Creative Commons riguardano più il pubblico che l’autore spera userà la propria opera, che la tutela dello stesso autore. Quest’ultimo mantiene comunque i diritti che si riserva, pur abbandonandone volontariamente alcuni altri).

Le norme sul diritto d’autore tutelano ogni opera creativa realizzata, che l’autore lo voglia o meno. Nessuno può usare legalmente l’opera di qualcun altro privo di licenza, al di là di quanto rientri nell’uso consentito. Le Creative Commons funzionano come licenze che possono essere utilizzate da quanti decidono di condividere la propria opera. Non vogliamo condividerla? Nessun problema. Non usiamo una licenza Creative Commons.

Ogni licenza Creative Commons definisce le modalità secondo cui chiunque può usare quell’opera al di là delle limitazioni imposte dall’uso consentito, senza tuttavia dover negoziare una licenza specifica con chi ne detiene il diritto d’autore. Esistono quattro condizioni che si possono applicare a una licenza Creative Commons:

  • Attribuzione: si può usare l’opera ma è necessario dare credito all’autore. Questa condizione vale per tutte le licenze Creative Commons.
  • Non commerciale: si può usare l’opera soltanto se non se ne ricava denaro.
  • Non opere derivate: si può usare l’opera soltanto se non viene alterata o trasformata al di là degli usi consentiti dalla legge sul diritto d’autore.
  • Condividi allo stesso modo: si può trasformare l’opera soltanto se quella risultante rimane disponibile in base agli stessi termini dell’opera originale.

Queste quattro condizioni possono essere combinate in sei modi diversi [2], tra cui poi sceglie l’autore.

Come si differenzia quanto sopra dal cosiddetto uso consentito?

Le norme sull’uso consentito permettono già l’utilizzo delle opere altrui, pur se in maniera alquanto limitata. [Negli Stati Uniti] ciò divenne legge nel 1976 come sezione 107 della legge sul diritto d’autore.

Secondo il sito web della Stanford University sull’uso consentito, in senso generale, tale uso di un’opera tutelata dal diritto d’autore sta a indicare “qualsiasi copia del materiale coperto dal diritto d’autore realizzata a scopo limitato e ‘trasformativo’ quali commentare, criticare e fare la parodia di un’opera sotto diritto d’autore.”

La legge USA prevede un test basato su quattro fattori per stabilire se un uso è consentito o meno. Il test riguarda la natura dell’uso, la quantità di opera originale utilizzata, la natura dell’opera risultante o derivata, lo scopo dell’uso. I giudici devono prendere in esame tutti e quattro i fattori. (È praticamente essenziale consultare un avvocato per essere certi che quanto si sta facendo rientri nell’uso consentito).

Talvolta gli autori vogliono distribuire un’opera permettendo a chiunque di farci quel che vuole, senza preoccuparsi di possibili denuncie o di consultare un avvocato. Nessuno costringe chicchessia a fare una cosa simile, ma diversi che lo ha fatto ritengono di averne tratto giovamento.

Uno degli utilizzi delle Creative Commons è quello di consentire la libera distribuzione della propria opera a scopo non-commerciale. In base alla legge sul diritto d’autore, nessuno può copiare un’opera senza il permesso dell’autore. Le licenze Creative Commons ci permettono di mantenere il diritto d’autore e continuare a guadagnare dall’opera, consentendo al contempo alle nuove tecnologie e agli appassionati di diffondere ampiamente l’opera. Certo, l’autore potrebbe semplicemente dire alla gente di ignorare il suo diritto d’autore, ma una licenza assicura il pubblico sul fatto che l’autore voglia veramente che sia ignorato.

Consideriamo una band musicale che produca un file MP3. In base alla legge sul diritto d’autore, se consentisse di diffondere tale file senza dover richiedere un permesso esplicito, in seguito qualcuno della band potrebbe denunciare coloro che lo fanno circolare. Se invece la band diffonde il file MP3 sotto una licenza Creative Commons, allora la gente lo può condividere liberamente senza dover richiedere nulla e senza il timore di subire una denuncia. La libera distribuzione potrebbe fungere da strumento di marketing per un vero e proprio CD fisico. Molti gruppi musicali hanno seguito questa procedura con risultati diversi. Cory Doctorow la usa per i suoi racconti con risultati assai positivi. Ne regala il testo ma non l’edizione cartacea. E afferma di guadagnarci [2].

La band Wilco ha diffuso l’album Yankee Hotel Fox Trot sotto una licenza simile alle Creative Commons. La loro etichetta discografica originale si era rifiutata di distribuire l’album, ma dopo esser diventato popolare su Internet come un file dal download libero (e gratuito), un’altra etichetta discografica (che, ironicamente, faceva parte del medesimo gruppo industriale di quella iniziale di Wilco) lo diffuse come normale CD, diventando uno degli album più venduti di Wilco.

Forse le Creative Commons minacciano in qualche modo l’uso consentito?

Qualcuno ritiene che le Creative Commons possano minacciare in qualche modo l’esistenza dell’uso consentito. Una licenza Creative Commons non ha alcuna conseguenza sull’uso consentito di un’opera. Il testo delle licenze Creative Commons dichiara espressamente che la normativa sul diritto d’autore e qualsiasi altra norma, come l’uso consentito, va comunque applicata.

Abbiamo già dei precedenti sull’uso consentito, e dobbiamo lavorare per tutelarli. Ma le Creative Commons consentono al pubblico di usare un’ opera senza i rischi, i costi o le limitazioni delle leggi sull’uso consentito. Lawrence Lessig, il chairman di Creative Commons, ritiene anzi che l’uso delle licenze Creative Commons farà crescere la consapevolezza e aiuterà nella battaglia per normative più eque sul diritto d’autore e sull’uso consentito.

Le Creative Commons complicano forse l’attuale normativa?

Qualche critico teme che le Creative Commons possano rendere più complicata la normativa sul diritto d’autore. Le Creative Commons non sono una legge, né aggiungono o sottraggono alcunché alle leggi esistenti. Sono soltanto delle licenze basate sulle norme relative al diritto d’autore. Non modificano in alcun modo la legge né più né meno di altre licenze, come una EULA [3]. Ciò può portare a modificare l’attuale normativa, ma la sua sola esistenza non produce di per sè alcun cambiamento. La maggioranza dei suoi sostenitori ritiene che i cambiamenti incorporati nelle licenze Creative Commons finiranno per indurre miglioramenti nella legislazione sul diritto d’autore.

Se è di pubblico dominio, perché ho bisogno di una licenza?

Ho notato anche che qualcuno si lamenta della “dedica al Pubblico Dominio [4]” resa disponibile da Creative Commons in aggiunta alle licenze. Costoro sostengono che se qualcosa è di pubblico dominio non ha bisogno di alcuna licenza. È vero. Ma se l’autore di un’opera la rende di pubblico dominio senza attendere i 70 anni dopo la propria morte, può usare le Creative Commons per fornire immediatamente alla gente tutti i diritti connessi al pubblico dominio. È solo una questione pratica. Probabilmente non è questo che vuole la maggioranza dei critici, ma l’opzione adesso esiste.

Il danno delle Creative Commons

C’è chi applica le licenze Creative Commons ai propri siti web quando non ne ha alcun bisogno. Se non si comprendono le implicazioni delle licenze, meglio prendersi qualche minuto per studiarle più a fondo. Grazie a tali licenze, persone di ogni parte del mondo possono essere in grado di ripubblicare le nostre opinioni o riflessioni sotto forme diverse. Io ne faccio uso e sono d’accordo con le relative implicazioni. Ma non è proprio il caso di appiccicarle al proprio blog senza comprenderne il significato.

Perché qualcuno dovrebbe regalare in giro la propria opera?

Qualcuno si lamenta del fatto che se un autore diffonde qualcosa sotto una licenza Creative Commons, questa non può essere revocata. Proprio così. L’autore non può più revocarne i termini. È proprio questo il punto.

La vera questione qui riguarda il motivo per cui un autore debba decidere di regalare la propria opera, pur conservando i propri diritti. C’è chi non comprende i benefici di voler regalare qualcosa senza alcun ritorno immediato, e con la conseguenza aggiuntiva di rinunciare ad alcuni dei propri diritti.

Più sopra ho menzionato due esempi, la band Wilco e lo scrittore Cory Doctorow. Lo stesso Professor Lessig ha diffuso online liberamente e gratuitamente copie dei suoi libri sotto Creative Commons, mentre i volumi cartacei hanno venduto piuttosto bene. Un altro impiego riguarda il campo dell’istruzione. Molti accademici considerano favorevolmente le licenze Creative Commons. In base alla comune legislazione sul diritto d’autore, se un professore vuole includere un articolo o il capitolo di un libro nelle copie del testo di corso, quel professore deve ottenere il permesso dell’autore. Ciò può rivelarsi gravoso per un testo che contenga 10, 20 o anche più articoli singoli. Le opere rilasciate sotto le licenze Creative Commons possono alleggerire questo aggravio.

Ma è una sorta di scommessa, e non va bene per tutti. Qualcuno ne sta facendo buon uso. Altri riescono perfino a guadagnarci. Altri ancora diventano un po’ famosi. C’è chi vuole soltanto offrire il proprio contributo al mondo. Questa è la parte stramba a cui parecchia gente non crede o di cui non si fida. E non è che debbano farlo per forza. Ma ciò non rende affatto le Creative Commons pericolose o inutili.

Grazie a Mia Garlick, responsabile degli affari legali di Creative Commons, e al Professor Lawrence Lessig, che mi hanno aiutato a comprendere il funzionamento delle Creative Commons.

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Il testo originale e la traduzione italiana vengono diffusi sotto la licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.5.
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Note alla versione italiana:
[1] Il concetto di uso consentito statunitense non coincide perfettamente con quello delle “eccezioni” previste delle norme sul diritto d’autore italiane e comunitarie.
[2] Le sei licenze Creative Commons sono:
* Attribuzione;
* Attribuzione – Non opere derivate;
* Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate;
* Attribuzione – Non commerciale;
* Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo;
* Attribuzione – Condividi allo stesso modo.
[3] In Italia, sempre in campo editoriale, il caso più noto di una scelta analoga è forse quello del collettivo Wu Ming.
[4] End User License Agreement, ovvero una delle solite licenze che accettiamo più o meno automaticamente quando installiamo molti software.
[5] Il concetto di “pubblico dominio” in Italia, e in generale nell’Europa continentale, non coincide esattamente con quello anglo-sassone.
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Traduzione italiana a cura di Bernardo Parrella e Juan Carlos De Martin.

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